mercoledì 28 gennaio 2015

IL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO

              "Un ossessione vissutà alla sazietà si annulla nei suoi stessi eccessi" Emil Cioran

Il D.O.C. (Disturbo ossessivo compulsivo) è inserito nel D.S.M. IV tra i disturbi di ansia.
Nella mia esperienza il paziente con D.O.C. però difficilmente avverte questa sgradevole sensazione, perché i rituali costituiscono una forma di ansiolitico particolarmente efficace.
I rituali costituiscono una distrazione, uno spostamento dell' attenzione e possono essere costituiti da azioni ritualizzate (es. fare n volte il giro della propria stanza in senso orario), o sotto forma di pensieri (es. ripetere un giaculatoria mentre si visualizza il volto della Beata Vergine).
Come per tutte le droghe, l' effetto piacevole si accompagna ad un effetto secondario non trascurabile: l'assuefazione e la dipendenza.
L' assuefazione porterà a dover aumentare la dose per ottenere l' effetto di calma e la dipendenza porterà a non poter vivere senza l' ansiolitico, anzi ad avvertire ansia al solo pensiero che il rituale non sia possibile.
Il rituale diventa così talmente presente nella sua vita, da divenire ingombrante, tale da creare impedimenti allo svolgimento di una vita normale.
Pur sapendo che tutto il meccanismo è frutto del suo modo di vedere la realtà, il nostro paziente non può più fare a meno del rituale, e, data la sua esigenza di controllare la realtà anche personale, ciò diviene motivo di ulteriore ansia se non di paura di non poterne uscire.
Esistono diverse sfaccettature di manifestazioni e S.P.R. nei D.O.C..
Spesso la compulsione prende l' avvio da una fobia.
In questi casi la paura se non il terrore rappresentano l' emozione di base.
È opportuno dire inoltre che esistono anche compulsioni che si basano sul piacere ( shopping compulsivo, tricotillomania, vomiting, chat mania...).
Nel caso del disturbo ossessivo compulsivo basato sulla paura, la persona metterà in atto dei comportamenti che assumano la forma di rituali, per scacciare l'ossessione.
La caratteristica veramente interessante che distingue questa patologia fobica dalle altre, risiede nel fatto che, dopo che il disturbo si è costituito, ciò che rappresenta il tormento per la persona non è più l'originaria paura, che ha costretto ad innescare la catena di azioni ritualizzanti, ma l'impossibilità di cessare l'esecuzione dei rituali. Questo è l'esempio paradigmatico di come la soluzione si trasforma in problema” ( Nardone, 2000).
In altri termini, la persona in un primo momento mette in atto questi rituali per difendersi dalla propria fobia ( che si manifesta sotto forma di ossessione) ma poi, reiterando questi rituali, divengono essi stessi un problema, più grande, più invasivo e meno gestibile.
I rituali si dividono in due categorie:
  • riparatori: messi in atto per riparare, appunto, qualcosa che potrebbe essere accaduto ( per esempio: disinfettarsi dopo un ipotetico contagio, controllare più volte una mansione svolta per essere sicuro di aver fatto bene...); il rituale oltre che agito, come detto poc'anzi, può essere anche mentale e quindi, esplicitato, attraverso formule ripetute per scongiurare una maledizione in vista.
  • Propiziatori: messi in atto per scongiurare che accada qualcosa o per propiziare l'accadimento ( per esempio costringersi ad aprire il rubinetto dell'acqua 10 volte prima di utilizzarlo per evitare che la casa prenda a fuoco, toccare 10 volte il banco per sperare che l'esame vada bene...)
L'intervento psicoterapico mira a modificare il sistema percettivo reattivo e interviene sulle tentate soluzioni, in questo caso, i rituali messi in atto attraverso delle manovre che spostano il potere dalle mani dell'ossessione a quelle del paziente affinchè si liberi di questa schiavitù.
La terapia breve strategica è molto indicata per questo disturbo.

martedì 4 marzo 2014

COME SI SUPERA LA PAURA DELL'ALTEZZA

                               

L' acrofobia deriva dal terrore di impazzire e buttarsi di sotto quindi, di perdere il controllo o di svenire o di non saper piu' come tornare ad una base sicura. Di solito i pazienti riferiscono proprio la paura di essere colpiti dal raptus  di buttarsi di sotto perche' attratti dal vuoto.Chi ha questo disturbo, quindi, ipotizza un disastro relativo all'esposizione da un altezza. L'idea e' : mi sporgo- ipotizzo che potrei cadere- immagino la caduta e le conseguenze- mi spavento- il mio corpo risponde attivando tutte le sensazioni relative ad una scena verosimile- quindi indietreggio. Allontanarsi dall'altezza permette di ripristinare lo stato di benessere, per questo, si commette l'errore di associare l'evitamento al benessere o quantomeno all'assenza di malessere!
Purtroppo molto spesso, questo pensiero disfunzionale, viene applicato anche ad altre situazioni compromettendo la serenità del paziente.
La persona che ha paura dell'altezza, sa benissimo che e' una paura infondata ( da qui e' facile comprendere come la soluzione non vada ricercata sul piano razionale, quello della ragione ma sul piano delle esperienze quindi su ciò che ci accade senza che l'evento venga interpretato con il linguaggio e le parole).
La persona supera il problema quando fa un esperienza che contraddice le ipotesi disastrose che hanno creato il problema.
In altri termini, e' come se avessimo un proiettore interno che ogni volta che ci troviamo in situazioni di esposizione all'altezza, proiettasse il film della nostra caduta.
Con il percorso psicoterapico e' come se si sostituisse la pellicola!!!!

venerdì 19 luglio 2013

PAURA DEGLI ALTRI






Paura degli altri o timidezza? 


Diciamo che fanno parte di un continuum che parte dalla timidezza fino ad arrivare alla paura degli altri se non addirittura alla paranoia. Ovviamente parliamo di " paura degli altri" dandone una connotazione patologica ovvero quando non c'è un motivo oggettivo per averne: per esempio se sono in guerra e l'altro e' il nemico, la mia e' una paura fondata.

La possiamo considerare quindi una fobia sociale?

Se escludiamo la paranoia ( quando si ha la CERTEZZA che gli altri vogliano farci del male) possiamo includere questa paura nelle fobie sociali, coerentemente con il DUBBIO che gli altri vogliano farci del male.

A che eta' si può manifestare e quali possono essere le cause?

Si può manifestare dal momento in cui ci si distacca dalla figura materna ; Le cause...be' nel bambino molto piccolo gioca un ruolo fondamentale l'idea di non essere amabile per questo, in un contesto con estranei non si sente a suo agio; nell'eta scolare farei riferimento alla paura di non reggere il confronto con gli altri mentre, nella vita adulta parliamo più della paura di non essere adeguato.

L'ambiente familiare può essere d'aiuto o di ostacolo?

La famiglia e' il primo contesto sociale in cui si e' inseriti, matrice quindi, dell'atteggiamento che ognuno forma e sviluppa in rapporto agli altri. Il ruolo che ricopre e' quindi fondamentale! Una famiglia iper protettiva farà crescere il proprio figlio con l'idea che il mondo esterno e gli altri sono pericolosi, temibili; questo aspetto, associato ad una struttura mentale ansiosa, e' un potenziale campo fertile per il generarsi della problematica!

Queste persone tendono ad isolarsi dal mondo e a crearne uno tutto loro?

Tendenzialmente il bambino vorrebbe isolarsi ma la sua vita e' assolutamente gestita dai genitori che, anche se erroneamente volessero assecondarlo, non potrebbero per via degli impegni come la scuola, lo sport, il catechismo, le festicciole di compleanno....l' adulto invece e' molto più libero di gestire il proprio tempo libero e quindi tende appena può ad isolarsi. 
Al giorno d'oggi poi, con i social networks trovano un ottima scappatoia che permette loro di comportarsi " come se" . Questo, da una parte aiuta ma dall'altra conferma loro di avere un problema e gli permette di crearsi una corazza che li irrigidisce ulteriormente.

In che modo si vince questa fobia?

Attraverso un percorso di riabilitazione psicologica in cui viene corretto il sistema percettivo reattivo della realtà aiutando il paziente ad attuare delle nuove soluzioni funzionali alla risoluzione della sua problematica.

giovedì 18 luglio 2013

DISTURBI SESSUALI? RISOLVILI!

" Le avversità non le affrontiamo perchè sono difficili, ma sono difficili perchè non le affrontiamo".  Seneca

Viviamo in un epoca in cui non solo di sesso si stra-parla ma si da per scontato che sia per tutti fonte di piacere.
Proprio per questo chi non si riconosce nei canoni imposti del maschio"robot del sesso" o della donna "bomba sexy disponibile e soddisfatta" costruisce pian piano la convinzione di non essere normale. Questa, accompagnata da un attenzione morbosa nei confronti della propria sessualità, costruisce il problema.
Infatti, ciò che spesso si verifica è che il soggetto inizia ad imporsi di dover raggiungere l'obiettivo della serenità sessuale che tutti i "normali" ostentano ma, inciampa nel paradosso di forzare qualcosa che per natura è spontanea.

Quando è il caso di intervenire?

La sfera sessuale è così condizionata dagli aspetti socio-culturali che, a mio avviso è impossibile e sciocco stabilire cosa rientri nei canoni della "normalità"; ritengo che un intervento si renda necessario quando il comportamento sessuale, sia motivo di sofferenza per la persona.

Quali sono le problematiche su cui è possibile intervenire?

  •  Disturbo da avversione sessuale
  • Disturbo dell`eccitazione sessuale femminile
  • Disturbo dell`orgasmo femminile
  • Disturbo maschile dell'erezione
  • Disturbo dell'orgasmo maschile
  • Eiaculazione precoce
  • Dispareunia ( dolore agli organi genitali durante il rapporto)
  • Vaginismo (spasmi muscolari involontari della vagina durante il rapporto)
  • Parafilie: Esibizionismo; feticismo; masochismo sessuale, sadismo sessuale, necrofilia, gerontofilia,zoofilia, coprofilia ecc...
  • condotte parasuicidarie ( rapporti a rischio)
  • Cyber sex dipendenza
  • Masturbazione nervosa
  • Difficoltà sessuali di coppia
 In che modo si interviene?

Attraverso un ciclo di intervento psicologico breve finalizzato ad interrompere la trappola mentale in cui la persona è caduta e creare un nuovo equilibrio funzionale che permetta di vivere in maniera serena la propria sessualità.



martedì 30 aprile 2013

MAMMA E PAPÀ SI SEPARANO: COME AFFRONTARE LA SITUAZIONE

Si è scritto e detto molto sul disagio che la separazione dei genitori provoca ai figli. Questo lascia dedurre che ogni genitore, oltre al trauma del proprio fallimento, sviluppi dei sensi dei colpa per la sofferenza procurata ai figli. Ma è sempre cosi? 

 Indubbiamente è una di quelle esperienze che potendo scegliere, si sceglierebbe di non vivere e di non far vivere ai propri figli ma cerchiamo di chiarire come la seperazione viene vissuta dai figli e quali sono le reazioni più comuni.
È inutile negare che a questo cambiamento improvviso e radicale nella vita del bambino, seguiranno delle reazioni forti, tipicamente regressive che disarmano e spaventano il genitore facendolo preoccupare e colpevolizzare oltre modo.


 

Nella prima fase 
 il bambino ha paura di perdere uno dei due genitori e non sapendo come gestire questa idea così frustrante tende a negarla, a comportarsi come se nulla fosse, ad evitare di parlarne.









Nella seconda fase
il bambino acquista consapevolezza della situazione, inizia ad essere molto nervoso e a sfogare la propria rabbia con fratelli e sorelle oppure con gli amici o con il genitore più presente.









Nella terza fase
il bambino inizia a fantasticare di poter fare 
qualcosa per far riunire i genitori:
attraverso capricci che possano attirare la loro attenzione oppure cercando di coinvolgerli in qualche attività in cui possano sentirsi di nuovo una famiglia.






Nella quarta fase
c'è la rassegnazione completa il bambino vive il fallimento del suo progetto di riunire la famiglia manifestando comportamenti depressivi che si palesano con crisi di pianto e tristezza.




L'ultima fase
 è quella dell'accettazione in cui il bambino costruisce il suo nuovo equilibrio e si  adatta alla nuova condizione familiare sempre che tutto questo non venga interrotto dalla conflittualità genitoriale 

Ci sono delle situazioni familiari in cui la separazione non solo non produce alcun effetto negativo ma migliora notevolmente la vita dei coniugi e dei figli. Ad ogni modo a condizionare il risultato è anche la modalità con cui questo viene comunicato ai figli.
Il modo migliore per affrontare questa particolare situazione è prima di tutto farlo insieme e  presentarla al bambino come un cambiamento senza dare una connotazione negativa al termine. Non si renderà subito conto della situazione quindi è giusto rispettare i suoi tempi e stargli vicino in tutte le fasi che precedono la costruzione del nuovo equilibrio. È importante non mentire circa le conseguenze della separazione quindi si consiglia di dire da subito che il papà o la mamma non vivrà più in casa ma che non smetterà di far parte della sua vita. Presentare al bambino anche i lati positivi della nuova condizione come per esempio  che avrà due camerette e in entrambe potrà tenere dei giochi. È fondamentale mantenere un atteggiamento complice e continuare ad essere una coppia genitoriale che ha per obiettivo  il benessere del figlio.

martedì 12 febbraio 2013

Psicologa e psicoterapeuta Civitavecchia e Roma Dott.ssa Elisa De Marchi

                                    "L'uomo sereno procura serenità a sè e agli altri" Epicuro



Ricevo a Civitavecchia Corso Marconi, 33 presso lo studio polispecialistico diretto dal Dott. Pica (terzo piano)
tel: 0766.501191 3282372144

Ricevo a Roma in Via Cesare Beccaria 11 (zona pzzale Flaminio) presso il CTS (Centro di terapia strategica) di Roma Centro
tel: 06.3216569 3282372144

È possibile chiedere informazioni anche scrivendomi una mail: elisa.demarchi@hotmail.com

Si riceve previo appuntamento


Psicologo Civitavecchia: Disturbi trattati

ATTACCHI DI PANICO
ANSIA
IPOCONDRIA
DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO
DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS
DISTURBI ALIMENTARI
DISTURBI SESSUALI
DIPENDENZA (dal gioco, da internet, dal sesso)
STALKING
MOBBING
DEPRESSIONE
FOBIE
PROBLEMI DI COPPIA
DIFFICOLTÀ NELLA GESTIONE DEL RAPPORTO CON I FIGLI